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Body shaming e maltrattamenti ex art. 572 c.p.: quando le offese sull’aspetto fisico del minore integrano il reato

    Insultare costantemente una figlia per il suo aspetto fisico può essere considerato un reato?

    Sì. La Corte di Cassazione ha stabilito che la denigrazione continua e umiliante rivolta a una figlia, specialmente se minorenne e in fase puberale, a causa del suo aspetto fisico (body shaming), integra il reato di maltrattamenti in famiglia, anche se gli episodi avvengono in un arco di tempo limitato e senza una convivenza continua.

    Una giovane donna si protegge il volto con le mani, sulle quali è scritto "NO means NO", a simboleggiare il rifiuto della violenza psicologica e del body shaming. L'immagine rappresenta la tutela legale per il reato di maltrattamenti in famiglia, con il logo dello Studio dell'Avvocato Penalista Alessandro Salonia a Milano.

    Introduzione

    Il body shaming è una forma di violenza psicologica che può integrare i maltrattamenti in famiglia quando è sistematico e degradante. Una recente pronuncia della Corte di Cassazione (n. 30780/2025) chiarisce che gli insulti ripetuti sull’aspetto fisico rivolti da un genitore a una figlia minorenne sono idonei a creare un clima di vita umiliante e dunque punibili ex art. 572 c.p.

    Principio di Diritto

    Se un genitore attua una denigrazione ripetuta e umiliante sull’aspetto fisico della figlia minorenne, tale condotta, per intensità e reiterazione, integra i maltrattamenti in famiglia ex art. 572 c.p., anche in assenza di convivenza stabile, quando determina un regime di vita vessatorio.

    Punti chiave:

    l’abitualità si valuta su ripetizione e contesto, non su un numero fisso di episodi o sulla durata in mesi.

    la vulnerabilità della vittima (età, fase puberale) accresce l’offesa;

    la provenienza genitoriale delle offese ne amplifica l’impatto psicologico;

    Descrizione del Fatto

    Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguarda un padre accusato di aver maltrattato la figlia di appena 11 anni per un periodo di sei mesi, tra gennaio e luglio del 2020. L’uomo, pur non convivendo stabilmente con la ragazza a causa di impegni lavorativi all’estero , la offendeva costantemente per il suo peso e il suo aspetto fisico, con frasi denigratorie come “cicciona, fai schifo, susciti repulsione in me e in chi ti guarda”. Queste vessazioni, avvenute sia durante gli incontri che tramite contatti telefonici , hanno generato nella giovane un profondo stato di sofferenza psicologica, culminato anche in un’aggressione fisica. L’uomo è stato condannato in primo e secondo grado , e la sua difesa ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo che la breve durata delle condotte e la scarsa frequentazione non potessero configurare l’abitualità richiesta dal reato.

    Commento Giuridico Analitico dell’Avvocato Penalista Alessandro Salonia

    Se un genitore attua una denigrazione ripetuta e umiliante sull’aspetto fisico della figlia minorenne, tale condotta, per intensità e reiterazione, integra i maltrattamenti in famiglia ex art. 572 c.p., anche in assenza di convivenza stabile, quando determina un regime di vita vessatorio.

    Punti chiave:

    l’abitualità si valuta su ripetizione e contesto, non su un numero fisso di episodi o sulla durata in mesi.

    la vulnerabilità della vittima (età, fase puberale) accresce l’offesa;

    la provenienza genitoriale delle offese ne amplifica l’impatto psicologico;

    Spiegazione Tecnica del Reato di Maltrattamenti in Famiglia

    Il delitto di maltrattamenti è disciplinato dall’articolo 572 del Codice Penale:

    • Chiunque, fuori dei casi indicati nell’articolo precedente, maltratta una persona della famiglia o comunque convivente, o una persona sottoposta alla sua autorità o a lui affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l’esercizio di una professione o di un’arte, è punito con la reclusione da tre a sette anni.
    • La pena è aumentata fino alla metà se il fatto è commesso in presenza o in danno di persona minore, di donna in stato di gravidanza o di persona con disabilità come definita ai sensi dell’articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ovvero se il fatto è commesso con armi.
    • Se dal fatto deriva una lesione personale grave, si applica la reclusione da quattro a nove anni; se ne deriva una lesione gravissima, la reclusione da sette a quindici anni; se ne deriva la morte, la reclusione da dodici a ventiquattro anni.

    Ciò che caratterizza questo reato è l’abitualità della condotta. Non è sufficiente un singolo episodio, ma è necessaria una serie di atti vessatori che impongono alla vittima un regime di vita doloroso e umiliante.

    Analisi della Ratio Decidendi: perché la Cassazione ha condannato

    La difesa dell’imputato si concentrava su due punti: il breve arco temporale (sei mesi) e l’assenza di convivenza continuativa. Tuttavia, la Corte di Cassazione ha rigettato queste argomentazioni, fornendo una chiave di lettura fondamentale per la comprensione del reato nell’era digitale e delle famiglie moderne.

    1. Irrilevanza della Convivenza Continua: I giudici hanno sottolineato che il vincolo familiare e i continui contatti, anche telefonici, sono più rilevanti della mera convivenza materiale. In un mondo interconnesso, la violenza psicologica può essere perpetrata a distanza, e il legame genitore-figlio rende questi contatti particolarmente incisivi.
    2. Valutazione dell’Abitualità: L’abitualità non dipende da un numero minimo di atti o da una durata prestabilita. Ciò che conta è la loro reiterazione in un modo da creare un sistema di vita vessatorio. Nel caso di specie, le umiliazioni erano “ripetute e frequenti” proprio in quel periodo, come confermato dalla vittima.
    3. Vulnerabilità della Vittima: La Corte ha dato enorme peso alla giovane età della vittima (11 anni) e alla fase della pubertà. Le offese sull’aspetto fisico in questo periodo delicato della crescita hanno un impatto devastante, manifestando un “evidente disprezzo” da parte del padre. La provenienza paterna delle offese ne aggrava l’impatto, minando le fondamenta dell’autostima della minore.

    La decisione si fonda su un solido quadro probatorio, che include le dichiarazioni della ragazza, quelle della madre, della zia (sorella dell’imputato) e la relazione dei servizi sociali.

    • Testo base (in sintesi): chi maltratta un familiare o persona sottoposta alla propria autorità è punito con reclusione da 3 a 7 anni.
    • Aggravanti principali: aumento fino alla metà se il fatto è commesso in danno di minore, di donna in gravidanza, di persona con disabilità o con armi.
    • Eventi lesivi: se derivano lesioni gravi, reclusione 4–9 anni; lesioni gravissime, 7–15 anni; morte, 12–24 anni.

    Tabella di sintesi (art. 572 c.p. e body shaming)

    VoceCosa significaRiferimenti / note
    ReatoMaltrattamenti contro familiari o conviventiart. 572 c.p.
    Condotta tipicaDenigrazioni ripetute sull’aspetto fisico (body shaming), anche a distanzacrea clima vessatorio
    AbitualitàValutata su reiterazione e intensità, non su durata minimanon basta un singolo episodio
    ConvivenzaNon necessariarilevano vincolo familiare e contatti (tel./messaggi)
    Vittima minoreAccresce il disvalore e incide sulla penaaggravante dedicata
    Pena baseReclusione 3–7 anniaumenti con aggravanti
    AggravantiIn danno di minore, donna in gravidanza, persona con disabilità, uso di armiaumento fino alla metà
    Eventi lesiviLesioni gravi: 4–9 anni; gravissime: 7–15 anni; morte: 12–24 anniincremento per evento
    Prove tipicheDichiarazioni della vittima, testimonianze, chat/messaggi, relazioni servizi socialivalutazione complessiva
    Pronuncia di riferimentoCass. n. 30780/2025 (rigetto del ricorso)principio su abitualità/convivenza

    Consulenza penale Avvocato Salonia: cosa significa questa sentenza

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    Per il reato di maltrattamenti è necessaria la convivenza?

    No, non necessariamente. Come chiarito dalla Cassazione, il vincolo familiare e la continuità dei contatti (anche telefonici) possono essere sufficienti per configurare il reato, rendendo secondaria l’assenza di una convivenza materiale costante.

    Qual è la pena per il reato di maltrattamenti in famiglia?

    La pena base è la reclusione da tre a sette anni. La pena è aumentata se il fatto è commesso in danno di un minore. Può aumentare ulteriormente se dal reato derivano lesioni personali o la morte.

    Un singolo insulto può essere considerato maltrattamento?

    No. Il reato di maltrattamenti richiede l’abitualità, ovvero una serie di comportamenti vessatori ripetuti nel tempo che creano un clima di sofferenza. Un singolo insulto potrebbe configurare, a seconda dei casi, altri reati come l’ingiuria o la diffamazione, ma non i maltrattamenti.

    Come si prova il reato di maltrattamenti psicologici?

    La prova si basa su diversi elementi. Le dichiarazioni della persona offesa sono fondamentali e, se ritenute credibili, possono essere sufficienti. A queste si possono aggiungere testimonianze di altri familiari o conoscenti , messaggi, email, registrazioni e relazioni dei servizi sociali, che contribuiscono a creare un quadro probatorio solido.

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