Vai al contenuto
» Approfondimenti » La responsabilità dello spacciatore per morte da overdose

La responsabilità dello spacciatore per morte da overdose

    La responsabilità dello spacciatore per morte da overdose

    Il caso: la morte per overdose e il ruolo dello spacciatore

    La responsabilità dello spacciatore per morte da overdose. La Corte di Cassazione è stata chiamata a pronunciarsi sulla responsabilità penale dello spacciatore per la morte dell’assuntore di sostanze stupefacenti. Il caso riguarda l’imputato, accusato di aver ceduto pasticche di ecstasy ad una persona che ne è deceduta per intossicazione acuta da MDMA.

    La responsabilità dello spacciatore per la morte da overdose - Avvocato Penalista Milano - Avvocato penalista Alessandro Salonia

    In primo grado, il G.U.P. del Tribunale di Firenze aveva riconosciuto l’imputato colpevole di spaccio di sostanze stupefacenti (art. 73 D.P.R. 309/1990) e di morte come conseguenza di altro delitto (art. 586 c.p.). La Corte d’Appello aveva successivamente rideterminato la pena a due anni di reclusione, con sospensione condizionale e risarcimento del danno alle parti civili.

    L’imputato ha presentato ricorso per Cassazione sostenendo che:

    1. Mancava la prova della cessione diretta della droga alla vittima.
    2. Il nesso di causalità tra la sua condotta e la morte non era dimostrato.
    3. La qualificazione giuridica dello spaccio come reato continuato era errata.
    4. Le statuizioni civili erano eccessive.

    Il principio di diritto affermato dalla Cassazione

    Cassazione Penale, Sez. V, Sentenza n. 8356 del 28/02/2025

    La Cassazione ha rigettato il ricorso dell’imputato, confermando il principio secondo cui la responsabilità dello spacciatore per la morte dell’assuntore può configurarsi solo se è provato il nesso di causalità tra la cessione della droga e il decesso, accompagnato da una colpa specifica dell’agente. In particolare:

    • Nesso di causalità: deve essere dimostrato che la morte sia una conseguenza diretta della droga ceduta dallo spacciatore.
    • Colpa in concreto: il cedente può essere ritenuto responsabile se ha violato una regola di prudenza, ad esempio se sapeva che la vittima tendeva ad assumere dosi eccessive o se la sostanza era particolarmente pericolosa.
    • Esclusione della responsabilità oggettiva: il solo fatto di aver venduto la droga non basta per condannare lo spacciatore per la morte dell’assuntore; occorre accertare una condotta colposa.

    Nel caso specifico, la Corte ha ritenuto che l’imputato fosse consapevole della pericolosità della sostanza e delle abitudini della vittima, avendo già assistito a un precedente episodio di overdose.

    Il nesso di causalità tra spaccio e morte

    Per condannare lo spacciatore ai sensi dell’art. 586 c.p., non basta dimostrare che la droga è stata ceduta alla vittima: è necessario provare che la morte sia stata conseguenza diretta di quella specifica cessione. Nel caso in esame, la Corte ha ritenuto provato che l’imputato avesse fornito la sostanza alla vittima, che l’avesse assunta durante la serata e che il decesso fosse direttamente attribuibile a quell’assunzione.

    La perizia tossicologica ha infatti rilevato un livello di MDMA nel sangue di 5117 ng/ml, ben superiore alla soglia di letalità stimata tra 400 e 800 ng/ml.

    La colpa specifica dello spacciatore

    Un punto centrale della sentenza è la colpa dell’agente. La Cassazione ha ribadito che la morte dell’assuntore è imputabile allo spacciatore solo se questi ha violato una regola di prudenza, mostrando negligenza, imprudenza o imperizia. Nel caso concreto, l’imputato era a conoscenza:

    • delle abitudini della vittima, che già in passato aveva rischiato un’overdose,
    • della quantità elevata di droga ceduta,
    • della pericolosità della sostanza, data la sua elevata concentrazione di principio attivo.

    Di conseguenza, la Corte ha ritenuto che l’imputato avesse agito con colpa specifica, poiché avrebbe dovuto astenersi dal cedere ulteriori dosi alla vittima, prevedendo il rischio di un evento letale.

    Esclusione della responsabilità oggettiva

    Un aspetto rilevante della decisione è il rigetto di una responsabilità automatica dello spacciatore. La Cassazione ha sottolineato che il solo fatto di aver venduto droga non implica automaticamente la responsabilità per la morte dell’assuntore.
    Il reato di spaccio di stupefacenti ha una funzione repressiva, volta a contrastare il traffico illecito, ma non è una norma di tutela immediata della salute individuale. Pertanto, affinché si configuri il reato di cui all’art. 586 c.p., è necessario che la morte sia dovuta non solo alla cessione della sostanza, ma anche a una condotta colposa dello spacciatore.

    Esclusione del consumo di gruppo


    L’imputato ha cercato di sostenere che la cessione rientrava nel cosiddetto “consumo di gruppo”, che esclude la punibilità per spaccio. Tuttavia, la Corte ha respinto questa tesi, chiarendo che:

    1. Non vi era un accordo iniziale tra A.A. e la vittima per l’acquisto e il consumo congiunto.
    2. La sostanza è stata acquistata dall’imputato in momenti distinti e in parte ceduta alla vittima.
    3. La vittima ha assunto le pasticche autonomamente, senza che l’imputato partecipasse alla decisione finale.

    In assenza dei requisiti tipici del consumo di gruppo, è stata confermata la condanna per spaccio.

    Pene previste e normativa applicabile – Avvocato Penalista Milano

    • Art. 73 D.P.R. 309/1990 (Spaccio di stupefacenti): reclusione da 6 a 20 anni e multa fino a 260.000 euro.
    • Art. 586 c.p. (Morte come conseguenza di altro delitto): aumento della pena base del reato presupposto (spaccio) se da esso derivi un evento non voluto.
    • Art. 589 c.p. (Omicidio colposo): prevede pene da 6 mesi a 5 anni di reclusione, con aggravanti se la condotta è particolarmente grave.

    Considerazioni dell’Avvocato Penalista Alessandro Salonia

    La decisione della Cassazione conferma un principio di equilibrio nella valutazione della responsabilità dello spacciatore. Se da un lato si esclude una responsabilità automatica, dall’altro si sottolinea che chi cede droga a una persona vulnerabile, conoscendone i rischi, può essere ritenuto colpevole per la sua morte.

    Nel caso in esame, l’imputato ha mostrato imprudenza e negligenza, nonostante fosse consapevole dello stile di vita della vittima e della pericolosità della sostanza ceduta. Questo ha giustificato la sua condanna.

    La sentenza rappresenta un chiaro monito per chi traffica sostanze stupefacenti: la cessione di droga può comportare non solo la responsabilità per lo spaccio, ma anche gravi conseguenze penali in caso di eventi letali. L’elemento decisivo è la prevedibilità del rischio da parte del cedente, il quale può essere condannato solo se ha consapevolmente ignorato segnali di pericolo per la vita della vittima.

    Lo Studio Legale dell’Avvocato Alessandro Salonia, avvocato penalista a Milano, offre consulenza qualificata per la difesa in procedimenti penali legati agli stupefacenti e alle loro conseguenze giuridiche.

    Contatta lo studio per una consulenza in materia penale.